Annamaria Venere

Possiamo definire la menzogna come l’alterazione o falsificazione verbale della verità perseguita, ma con piena consapevolezza e determinazione. Una delle caratteristiche che differenzia la menzogna da altre manifestazioni, come ad esempio la finzione è, dunque, la consapevolezza dell’atto (Mahon, 2008). Di conseguenza, perché si possa parlare di menzogna, devono sussistere tre criteri: il mentitore deve sapere che ciò che sta dicendo non è vero; la menzogna dev’essere un atto intenzionale, e quindi escludere la presenza di dimenticanze, confusione, valutazioni errate; infine, il destinatario della comunicazione menzognera non dev’essere già informato che ciò che viene detto è falso (Vrji, 2008; Ekman, 2009).


La menzogna da un punto di vista psicosociale

Sotto un profilo psicologico, possiamo distinguere tre tipologie di menzogna: quelle esplicite, le esagerazioni o minimizzazioni e le bugie sottili. Le prime sono delle vere e proprie falsificazioni della realtà, in cui quest’ultima viene completamente stravolta. Le esagerazioni o minimizzazioni, invece, sono dei fatti che vengono sovrastimati o sottostimati, in maniera intenzionale. Infine, le bugie sottili sono delle verità letterali, ma che sono costruite per indurre in errore un’altra persona (De Paulo et al., 1996). Ciò che porta le persone a mentire è soggetto a una serie di concause psicologiche di vario livello o gravità. Tra le motivazioni più riportate in ricerca, la motivazione sembra utilizzata, il più delle volte, per evitare punizioni od ottenere ricompense. Ancora, si è soliti mentire per proteggere altri da sanzioni, per ottenere ammirazione, proteggersi da danni fisici, liberarsi da una sgradevole situazione sociale, evitare l’imbarazzo o la vergogna, difendere la privacy, esercitare il potere sugli altri.

Tra le bugie più frequenti, però, si riscontrano quelle che hanno un’attinenza prevalentemente sociale  e servono a garantire una regolazione della convivenza interpersonale. Le bugie “sociali”, in questo senso, vengono raccontare per ragioni psicologiche, o meglio, nel tentativo di: aiutare gli altri, salvaguardare l’autostima propria o altrui, proteggere se stessi o gli altri, oppure per creare un danno intenzionale per acquisire potere sociale (Ekman, 2009). La menzogna, in definitiva, assume un ruolo importante all’interno dei contesti sociali e, in alcuni casi, riconoscerla può essere funzionale, in linea preventiva, per un adeguato sviluppo psicosociale della persona (Ekman, 1989; Feldman et al., 2002).

Quali indicatori non verbali?

Stando alle concause psicologiche e sociali sopra riportate, la menzogna può essere identificata grazie a determinati indicatori non verbali da cui non può prescindere. Sotto il punto di vista emotivo, il mentire viene associato il più delle volte ad emozioni quali il senso di colpa, la paura o l’eccitazione. Queste emozioni, in genere, cambiano il comportamento di chi dice la bugia: il senso di colpa, ad esempio, cambia la direzione dello sguardo, la paura fa tendere le labbra, l’eccitazione può provocare un sorriso sul volto. L’incapacità di controllare l’emozione, a livello conscio, causa dunque determinati comportamenti inconsapevoli che ci permettono di capire se siamo o meno in presenza di una menzogna (Ekman, 2009; Zucherman et al, 1981).

Difatti, nonostante il bugiardo, nel momento in cui mente, cerchi di controllare le sue reazioni comportamentali, ve ne sono alcune che non gli è possibile governare. Tra queste vi sono i gesti compiuti sul volto e sul corpo, come il toccarsi la testa, cambiare postura, tono della voce. Tali aspetti comportamentali, uniti a quelli di tipo emotivo, diramano una serie di indicatori non verbali che ci possono confermare la presenza di menzogne, quali: elevata presenza di intercalari; errori nel parlato di tipo grammaticale o ripetizioni; tono della voce alterato; velocità del discorso inusuale; periodi di silenzi tra domanda e risposta incostanti; pause prolungate; sorrisi di circostanza; sguardo rivolto altrove; movimenti di mani, dita, gambe, piedi, tronco; sbattimento delle palpebre; spostamenti per cambiare posizione di seduta (Vriji, 2008).

Tra gli elementi che permettono di riconoscere una menzogna, vi sono le espressioni facciali. Il viso, più di ogni altra cosa, può essere una fonte preziosa d’informazioni per chi vuole scoprire inganni. La mimica involontaria delle espressioni facciali, infatti, è un prodotto dell’evoluzione della specie che avviene su base prevalentemente inconscia. La menzogna si evince nel momento in cui le espressioni facciali entrano in contraddizione con le parole (Gimelli, 2012). Attraverso il volto può trasparire, pertanto, il reale stato d’animo della persona, per mezzo di mimiche della durata di una frazione di secondo (battito di occhi, movimento delle labbra, movimento degli occhi) che il soggetto compie in modo inconsapevole e inusuale, ma che gli servono per esprimere le emozioni e la verità che sta tentando di nascondere (Ekman, 2009).

Questi elementi comportamentali, si uniscono agli indicatori verbali della menzogna, come dichiarazioni negative, utilizzo di termini generici, riferimenti personali, immediatezza, lunghezza della risposta, diversità lessicale, contraddizioni, che ci aiutano a discernere la menzogna da altre manifestazioni interpersonali (De Paulo et al., 2003). La capacità d’identificare e accertare la falsità e riconoscere, quindi, le manifestazioni fisiologiche dell’ingannatore risulta competenza indispensabile a chi ricopre ruoli professionali che spesso creano rapporti con persone che intendono mentire al proprio interlocutore, come gli appartenenti alle forze dell’ordine, l’investigatore, l’avvocato, lo psicologo e il criminologo.

La menzogna può essere definita, quindi, come frutto dell’influenza di più variabili: fattori situazionali (utilità, vantaggi, conflitto tra soggetti, prevedibilità), caratteristiche personali del mittente (valori etici, età, tratti psicopatici e antisociali di personalità) ed interpretazioni soggettive del ricevente (opinioni, pregiudizi, grado di sospettosità e capacità di svelamento). In ambito forense, segni di menzogna possono provenire da colui che è sospettato di aver commesso un reato, ma anche durante il colloquio con la vittima (se superstite) e con i testimoni. Valido supporto agli inquirenti, per capire se il soggetto sta mentendo, è la rilevazione delle microespressioni attraverso un’osservazione accurata e l’utilizzo di strumenti audio-video.

La menzogna nell’età evolutiva: prevenirla e comprenderla per salvaguardare lo sviluppo psicosociale

Sotto un profilo evolutivo, le menzogne nell’infanzia sono legate alle circostanze reali e, quindi, limitate nel tempo, pertanto meno frequenti e abituali rispetto a quelle degli adulti. In particolare, risultano influenzate dai condizionamenti attivi degli adulti, che impongono dei modelli che ai più piccoli sembrano inviolabili (Pichi et al., 2012). Con lo sviluppo le modalità, motivazioni e circostanze della menzogna cambiano, assumendo diversi significati in relazione all’età.

La menzogna, nella prima infanzia, assume dei connotati concreti e i bambini, molto spesso, non hanno uno sviluppo simbolico sufficiente per poterle nascondere. Il bambino, infatti, non possiede ancora gli elementi comunicativi sufficienti per dissimulare le proprie emozioni che, quindi, si manifestano in modo esplicito e inconscio attraverso le espressioni facciali (Bascou, 1980). La finalità delle loro menzogne è essenzialmente di tipo pratico, ovvero sono dette per ottenere qualcosa di concreto. Successivamente, in adolescenza, il ragazzo mente in maniera molto più astratta e costruita, apparendo più convincente, in quanto dispone di capacità intellettuali, sociali e morali superiori (Pichi et al, 2012).

Dal punto di vista psicosociale, la menzogna non assume, però, una valenza soltanto negativa. Al contrario, l’azione del mentire è sintomo di una precisa modalità relazionale innescata dal soggetto, indipendentemente dall’età in cui si colloca. Comprendere da dove è causata e perché una menzogna viene utilizzata, molto spesso può voler dire prevenire disagi psicologici futuri, qualora questa modalità relazionale menzognera sia piuttosto frequente. La menzogna, infatti, può nascondere un disagio psicologico o sociale vissuto dall’individuo. Sotto questo punto di vista, pertanto, interventi preventivi o psicoeducativi, in ambito evolutivo, che riguardino ad esempio la famiglia, consentono non soltanto di considerare la menzogna quale strumento relazionale univoco, ma anche di prevenire disturbi futuri cui la stessa menzogna, portata agli estremi livelli, è collegata, come i disturbi psicosociali (Bascou, 1980).


Bibliografia

Bascou, L. (2003). Mentire, Il Mulino, Bologna.

DePaulo, B.M., Ansfield, M.E., Bell, K.L. (1996). Theories about deception and paradigms of studying it: A critical appraisal of Buller and Burgoon’s interpersonal deception theory and research, Communication Theory, 6, pp. 297–310.

Ekman, P. (1989). The argument and evidence about universals in facial expressions of emotion. In H. Wagner & A. Manstead (Eds.), Handbook of psychophysiology: The biological psychology of emotions and social processes, Wiley, London.

Ekman P. (2009), I volti della menzogna. Gli indizi dell’inganno nei rapporti interpersonali, negli affari, nella politica, nei tribunali, Giunti, Firenze.

Feldman, R. S., Forrest, J. A., & Happ, B. R. (2002). Self-presentation and verbal deception: Do selfpresenters lie more?, Basic and Applied Social Psychology, 24, pp. 163–170.

Gimelli, C. (2012). La mente mente, il volto no. Gli indizi dell’inganno nei rapporti interpersonali, nella politica, nei tribunali, Lingue, 1-2, pp. 147-155.

Pichi, A., Catania, D., Formella, Z. (2012). La menzogna nell’età evolutiva: prevenire lo sviluppo o il disadattamento, Orientamenti Pedagogici, 59, 2, pp. 237-252.

Vrij, A. (2008). Detecting lies and deceit: Pitfalls and opportunities, Wiley, Chichester.

Zuckerman M., DePaulo B. M., Rosenthal R. (1981). Verbal and nonverbal communication of deception. In L. Berkowitz (Ed.), Advances in experimental social psychology, 14, Academic Press, New York, pp. 1-57