Annamaria Venere

Per effettuare un’analisi approfondita inerente il tema della sessualità nei disabili, occorre integrare il modello medico biopsicologico con quello socio-culturale. Il modello medico della disabilità, in vigore fino agli anni ’70 del secolo scorso, vedeva la disabilità come un insieme di menomazioni psicofisiche individuali: la sessualità, di conseguenza, era considerata un problema marginale.

Adottare il modello sociale, invece, significa considerare la disabilità come un prodotto (anche) sociale, piuttosto che l’esito di un’esclusiva menomazione fisica o psichica. Un processo che oggi potremmo definire di normalizzazione e deistituzionalizzazione della persona disabile (Malaguti, 2011).

Il rifiuto nell’immaginario sociale dei bisogni sessuali presenti nella disabilità, si fonda su reticenze, silenzi e ipocrisie che possono avere compromissioni nell’invio delle informazioni e dei servizi utili per la tutela della salute e dei diritti umani. La sessualità delle persone con disabilità, infatti, non in linea ai modelli dominanti, viene bandita a una dimensione che troviamo fuori dalla relazionalità, spesso associata a pratiche dell’igiene personale o delle funzioni corporee.

Sotto un profilo generale, l’OMS (2001) ha equiparato il diritto alla salute sessuale ai diritti umani in generale. Con ciò la sessualità è entrata a far parte a pieno titolo delle componenti che creano il benessere di una persona, analizzata anche in funzione psicoeducativa e sociale.

In altre parole, parlare di sessualità comporta affermare che tutte le persone, libere da coercizione, discriminazione e violenza, incluse quelle disabili, hanno diritto a:

  • ottenere il più alto livello possibile di salute sessuale, compreso l’accesso ai servizi di cura della salute sessuale e riproduttiva;
  • cercare, ricevere e diffondere informazioni in relazione alla sessualità;
  • educazione sessuale;
  • il rispetto dell’integrità fisica;
  • la scelta del partner;
  • decidere se essere sessualmente attivi o no;
  • relazioni sessuali consensuali;
  • matrimonio consensuale;
  • decidere se e quando avere bambini;
  • perseguire una vita sessuale soddisfacente, sicura e piacevole.

Poiché, tuttavia, la sessualità rappresenta una componente essenziale dello sviluppo di qualsiasi essere umano, in termini emozionali, etici, fisici, psicologici, sociali e spirituali dell’identità, a tale componente è riconosciuto anche un ruolo preponderante nella costruzione dell’autostima, della percezione di sé e del proprio ruolo sociale. Secondo alcuni autori, infatti, permangono una serie di pregiudizi sociali inerenti la sessualità del disabile, come ad esempio: non hanno le capacità di imparare la sessualità; sono esseri asessuati o ipersessuali; non hanno gli stessi bisogni dei normodotati; sono spesso abusatori; educarli alla sessualità potrebbe essere pericoloso (Sirigatti et al., 2008).

L’idea del “disabile asessuato” appartiene, il più delle volte, anche a genitori e operatori sanitari e di assistenza. I genitori, a causa dell’iperprotezione, sono propensi a evitare che il figlio entri in contatto con i propri compagni anche al di fuori di contesti sociali definiti (come la scuola), per timore di discriminazione o di pericoli alla sua salute, contribuendo ad una maggiore inibizione della crescita sociale e sessuale (Venere, 2020).

Per contrastare tali pregiudizi, svariate ricerche hanno messo in luce non solo che la maggior parte dei disabili sia sessualmente attiva, ma anche che tra le espressioni affettive da loro utilizzate vi siano pure espressioni di tenerezza, come abbracci, baci e vicinanza fisica che rappresenterebbero quindi l’espressione di una sessualità genitale completa (Lassmann et al., 2007). Non solo, emergono anche attrazioni sia verso il sesso opposto che lo stesso sesso, a dimostrazione del fatto che godono di un’affettività del tutto equiparabile a quella dei normodotati (Federici, 2002).

Emozioni e sessualità nei disabili psichici

Se a livello cognitivo possono essere molto lontani rispetto all’età da loro veramente posseduta, le persone affette da disabilità psichica a livello corporeo e sessuale non smettono di rispettare i tempi della pubertà, dell’adolescenza e della vita erotico-sessuale adulta. E poiché la sessualità è anche rapporto con il corpo, questa inevitabilmente finisce per essere sperimentata e desiderata, nonostante il loro livello cognitivo sia inadatto. Il rischio che a volte si genera è che, a causa di un ritardo cognitivo diffuso, si sperimentino esperienze sessuali regressive in età adulta, diventando così facile preda dei pregiudizi socio-culturali (Venere, 2020).

Quale sviluppo psicosessuale nel disabile?

Se analizziamo la tematica sotto un profilo evolutivo, lo sviluppo psicosessuale dei disabili mette in luce una sorta di asincronia tra lo sviluppo fisico e quello psicologico. Nei disabili, ovvero, lo sviluppo psicosessuale non segue il sottostante sviluppo fisico, a testimonianza ancora una volta della non validità del modello medico di cui sopra.

Si avvertono differenze nei modi, nei tempi e nella qualità dello sviluppo mentale (a prescindere dai caratteri biologici sessuali comunque presenti), nonché differenze nello sviluppo dei caratteri sessuali secondari (rispetto alla gravità del ritardo mentale e all’età) che permettono loro di sviluppare normali abilità affettive (Baldacci, 2006).

L’analisi delle caratteristiche sessuali dei disabili, pertanto, sotto un profilo evolutivo, deve essere effettuata in modo del tutto indipendente dalle peculiarità biologiche e fisiche sottostanti che li riguardano. Alcune ricerche, in ogni caso, hanno rilevato che persone con disabilità intellettive siano meno inclini a sviluppare conoscenze ed esperienze sessuali, rispetto a quelle che sviluppano solo deficit fisici.

Per lo stesso motivo, le prime hanno in genere una minore autostima e soddisfazione affettiva rispetto alle disabilità di tipo esclusivamente fisico (Kedde e Van Berlo, 2006).

Per attenuare sia i deficit fisici che quelli psicologici, e quindi incentivare lo sviluppo di una sessualità adeguata nei diversamente abili, occorre attenzionare, durante lo sviluppo del disabile, alla dimensione sociale cui appartiene.

Lo sviluppo psicosessuale, infatti, migliora e si dimostra adeguato nel momento in cui è presente, alla base, un sistema sociale che lo supporta, a livello sia comunitario che familiare (Casalini, 2013).

La dimensione sociale della sessualità nei disabili: quale prospettiva educativa?

L’ambiente familiare influenza lo sviluppo psicologico di qualsiasi essere umano, ma in modo particolare delle persone disabili, poiché in loro, più che in altri, favorisce l’autorealizzazione, le relazioni interpersonali e l’apertura verso l’esterno. La famiglia rappresenta per un disabile il nucleo sociale per eccellenza, con tutte le contraddizioni cui quest’ultima si trova a far fronte.

La difficoltà principale che la famiglia si trova spesso a dover fronteggiare si riferisce all’ambivalenza verso il proprio figlio disabile, perché da un lato si ha il desiderio dei genitori di volere una vita normale, dall’altro il desiderio e la necessità di iperproteggerlo (Sirigatti et al., 2008).

In questo alveo di atteggiamenti ambivalenti e contradditori spesso rientra anche la sessualità. La sessualità del disabile, infatti, può essere vissuta dai genitori come un lutto che può portare a forme di negazione, nonché ad atteggiamenti ansiosi e ambivalenti, perché percepita al contempo come un vero e proprio rischio per il figlio disabile: rischio di abusi, rischio di rimanere vittima di insoddisfazioni, rischi fisici.

Tali forme di negazione, che a volte portano a vere e proprie condotte sociali estreme (adottare la contraccezione massiva, l’aborto terapeutico o rivolgersi a prostitute), può influenzare considerevolmente il benessere psicosessuale del figlio (Baldacci, 1996).

Il raggiungimento di una certa identità sessuale negli individui con disabilità si caratterizza per essere un processo non facile di affermazione di sé e della propria disability identity, a causa dell’immagine riflessa e introiettata che confluisce in loro dalla famiglia e dalla società stessa di cui fanno parte (Casalini, 2013). In altre parole, il processo affermativo dell’identità di una persona disabile, non si esaurisce con l’accettazione del proprio deficit psicofisico, ma al contrario con un’affermazione della propria identità sociale di persona disabile che, quindi, deve fare i conti con tutti i criteri del riconoscimento sia sociale, che istituzionale e familiare (Shakespeare et al., 1996).

Al pari delle altre persone, anche per i disabili l’obiettivo familiare dovrebbe essere l’educazione alla sessualità, ovvero fornire informazioni e conoscenze commisurate alla capacità di comprendere e dare risposte pertinenti e veritiere, cercando al contempo di integrarle nel processo di sviluppo complessivo della persona (Loperfido, 2006). Per consentire ciò, l’interesse si sposta da strategie psicoterapeutiche da indirizzare esclusivamente al disabile, a strategie di intervento verso la famiglia di appartenenza e ad aree sociali più vaste (scuola e comunità), al fine di rimuovere quelle barriere ambientali, sociali e psicologiche che impediscono il percorso creativo ed espressivo, affettivo e sessuale dei diversamente abili (Shakespeare et al.,1996; Casalini, 2013).

Conclusioni

Tutti gli individui hanno il diritto all’informazione e al piacere (WHO, 1975), tuttavia l’approccio alla sessualità è, il più delle volte, negato ai soggetti con disabilità, ai quali la società stabilisce i ruoli di indifferenti o inadeguati al sesso. Rilevante è in tal senso anche la funzione dei media, indubbiamente importante nell’orientare i modelli culturali e le pratiche di riferimento. La sessualità disabile, di fatto, non condiziona i consumi, non alimenta il culto della bellezza ricercata e perseguita spasmodicamente e perciò i bisogni sessuali del disabile sono confinati alla scomparsa del corpo.

L’intesa emotiva tra due persone consente l’opportunità di riconoscersi come tali e questo ha un grande significato per la persona disabile, che viene identificata come soggetto unico e originale, anziché come deficitario; gli viene, quindi, offerta l’occasione di rappresentarsi come “essere umano” e non come “disabile”. Egli fa esperienza di sé, perché entra in relazione col mondo e sperimenta il proprio modo di essere con quello di un altro. (Venere, 2020)


Bibliografia

Baldacci, M.C. (1996). bioetica dell’esercizio della sessualità nel portatore di handicap fisico geneticamente, JSTOR, 99, 1.

Casalini, B. (2013). Disabilità, immaginazione e cittadinanza sessuale, Ethics & Polities, XV, 2, pp. 301-320.

Federici, S. (2002). Sessualità alterabili, Edizioni Kappa, Roma.

Kedde, M.A., Van Berlo, W.M. (2006). Sexual satisfaction and sexual self images of people with physical disabilities, Sexual and Disability, 24 (1), pp. 53-68.

Lassman, J., Gonzalez, G., Melchionni, J.B., Pasquariello, P.S., Snyder, H. M. (2007). Sexual function in adult patient with spina bifida and its impact on quality of life, The Journal of Urology, 176, pp. 1611-1614.

Loperfido, E. (2006). La sessualità nell’handicappato psichico, Journal of Psychology, 89, 3.

Malaguti, E. (2011). Donne e uomini con disabilità, Ricerche di Pedagogia e Didattica, 6, 1.

Shakespeare, T., Gillespie-Sells, K., Davies, D. (1996). The social politics of disability: untold desire, Cassell, London.

Sirigatti, S., Taddei, S., Torzuoli, G. (2008). Affettività Sessualità Disabilità. Rapporto Tecnico-Scientifico, Università degli Studi di Firenze, Firenze.

Venere, A. (2020). Sesso dis-abilitato. Educazione ai sentimenti, alle emozioni e alla sessualità, quaderniECM, AV eventi e formazione https://www.av-eventieformazione.it/sesso-dis-abilitato-educazione-ai-sentimenti-alle-emozioni-e-alla-sessualita/